Mi colpisce particolarmente come la campagna si rivolga a una platea che non cerca solo prodotti di qualità, ma desidera un racconto coerente e credibile sulle origini di ciò che consuma. In questo senso, secondo me, il focus sulla comunità, il benessere animale e la cura del territorio colpisce il bersaglio soprattutto tra quei consumatori più informati, che pongono attenzione ai dettagli e pretendono una narrazione trasparente.

Credo che la creatività dello spot si manifesti principalmente nell’uso raffinato delle immagini: non trovo banalità gratuite o scene eccessivamente patinate, e questo per me è segno di una certa intelligenza nell’approccio comunicativo. L’intero susseguirsi di sequenze—dal prato ancora intatto di prima mattina, alla mucca nella stalla, fino al tavolo imbandito ai piedi delle montagne—costruiscono una sorta di sinfonia visiva che si presta quasi più a una narrazione cinematografica che a uno spot pubblicitario tradizionale.

D’altro canto, mi sembra che lo slogan finale, “Buono per davvero”, si inserisca perfettamente in questa cornice, evitando qualunque cedimento alla retorica facile. Lo prendo quasi come una dichiarazione d’intenti che non ha bisogno di forzature, perché supportata costantemente da tutte le scene precedenti e dal tono misurato della voce narrante.

Per quanto riguarda la coerenza della marca, a mio giudizio è quasi impeccabile: ogni dettaglio, persino la scelta degli abiti tradizionali o l’inquadratura delle mani che prendono lo SKYR dal frigo, rimandano a una precisa identità culturale e territoriale che non viene mai messa in discussione. È come se Mila avesse detto: “Questa è la nostra storia, nessun compromesso.”

A essere sinceri, la lavorazione visiva dello spot mi è sembrata una delle sue principali forze: la scelta della luce, sempre morbida e naturale, e il modo in cui la camera si sofferma su gesti semplici (versare il latte, accarezzare una mucca, assaporare lo yogurt con soddisfazione) creano un’atmosfera che definirei quasi sospesa tra il documentario e la poesia visiva. Dal mio punto di vista, questa è una delle rare occasioni in cui la pubblicità riesce ad elevare l’ordinario, trasformandolo in qualcosa di veramente memorabile.

Non posso però non notare, con una punta di ironia, che il pubblico rischia quasi di dimenticarsi che si sta parlando di un semplice yogurt, talmente avvolgente è questa costruzione di senso attorno alla genuinità. Ma forse proprio qui sta la sottile essenza di uno storytelling ben fatto: farti desiderare di far parte di quell’universo.

In definitiva, sono dell’opinione che questo spot non solo rappresenti un benchmark qualitativo per la categoria, ma offra anche un esempio di come si possa parlare di tradizione senza risultare né naif né stucchevoli. E tu? Credi che uno spot così sofisticato sia in grado di persuadere anche i più scettici, oppure pensi che la narrazione rurale rischi di essere percepita solo come costruzione retorica? Mi piacerebbe sentire la tua opinione, sia da un punto di vista personale che professionale.