Trovo interessante come questa introduzione si distacchi dalle tipiche narrazioni caotiche pubblicitarie e preferisca un racconto quasi silenzioso, più evocativo che dichiarativo.

La scelta di concentrarsi inizialmente su momenti di intimità personale—quella finestra, una donna in raccoglimento, la luce che scolpisce il volto—suggerisce uno storytelling raffinato, un invito a cogliere la bellezza dei dettagli nella quotidianità. Sono propenso a pensare che questa sia una mossa comunicativa di grande intelligenza: l’esperienza sensoriale viene prima della vendita esplicita del prodotto, ed è proprio questa “ritualità” a dare spessore narrativo allo spot.

Sul fronte della creatività, da parte mia noto un’efficace alternanza tra sequenze lente e dettagliate—come la pralina che si avvolge di cioccolato e nocciole in slow motion—e quadri di convivialità, dove la piramide dorata di Ferrero Rocher diventa punto focale di relazioni vere. Secondo me, il passaggio dalla dimensione individuale al piacere condiviso amplia sapientemente il target: il cioccolatino non è più soltanto un vizio personale ma un aggregatore di emozioni collettive. Del resto, c’è una certa sottile ironia cromatica e simbolica nel legame oro/lusso/valore interno del claim “Accendi l’oro che è in te”—sono convinto che questa conceptualizzazione, volutamente poetica, miri a far sentire chiunque un po’ più straordinario al semplice gesto di scartare una pralina.

Dal punto di vista della coerenza con l’identità del brand, sono dell’opinione che lo spot funzioni bene: l’eleganza, la ricerca della perfezione visiva, l’associazione con momenti di festa ma anche con la cura verso sé stessi ritornano coerenti con le campagne Ferrero Rocher degli ultimi anni. Il passaggio verso una gamma ampliata—le nuove tavolette declinate in vari gusti, dall’extra fondente al macadamia—viene integrato senza fratture; tutto scorre in modo fluido fino al climax finale che mostra i prodotti in modo chiaro ma senza forzature commerciali.

Non posso esimermi dal sottolineare che il vero colpo di classe risiede nell’uso accorto della luce dorata: questa scelta, a mio modo di vedere, trasmette una sensorialità visiva quasi tattile ed eleva la semplice pralina a oggetto del desiderio, senza mai strafare o scadere nello stucchevole.

Personalmente, ritengo che qualche elemento avrebbe potuto giocare di più sull’ironia intelligente—si respira perfezione e classicità, ma un tocco di autoironia avrebbe forse reso l’intera narrazione meno prevedibile e ancora più memorabile, soprattutto per uno spettatore abituato a decifrare il linguaggio pubblicitario con occhio critico.

In definitiva, il messaggio centrale valorizza l’individualità e la condivisione attraverso un’estetica sofisticata; lo spot aderisce a logiche di narrazione sensoriale e distintiva, evitando le trappole del sentimentalismo facile e rifacendosi a un lessico visuale ricco e raffinato. Da un punto di vista professionale, considero questa campagna un esempio riuscito di storytelling emozionale, anche se forse un filo più di audacia nella sceneggiatura (magari con una svolta narrativa inaspettata) avrebbe potuto sorprendere davvero lo spettatore dal gusto esigente.

Mi piacerebbe conoscere la tua impressione: ritieni che questo approccio emozionale e raffinato sia davvero capace di distinguersi tra le molte pubblicità di cioccolato, oppure avresti preferito qualche elemento di rottura o di smart irony in più? Discutiamone!