Personalmente, reputo estremamente dubbio che l’immagine di una modella invitata a sfilare e ammiccare con un orologio al polso, in pose che flirtano con la pubblicità anni ‘90, possa davvero nobilitare il marchio. Magari questo tipo di approccio trova un pubblico ricettivo, non lo escludo, ma non posso fare a meno di notare come il livello di creatività qui oscilli paurosamente tra lo zero e il sottile strato di polvere sotto il tappeto. Davvero Festina ne sente il bisogno?

Parlando della costruzione visiva, devo ammettere che la scelta di un ambiente industrial-chic, punteggiato da tele bianche, scale di legno e luci morbide, aggiunge una certa patina di autenticità e modernità. Gli spazi ariosi e l’atmosfera ovattata richiamano un’estetica artistica e un gusto contemporaneo, anche se temo che questo alone di creatività sia, più che altro, un vezzo stilistico slegato da un reale contenuto narrativo. Anzi, ho la sensazione che l’atmosfera costruita serva a mascherare una mancanza di vera originalità di fondo. Alla fine, l’obiettivo dichiarato sembra essere quello di trasmettere eleganza rilassata, grazia naturale e un messaggio di autonomia femminile—ma tutto questo, a mio avviso, risulta da un copione già visto.

Mi colpisce poi come la campagna punti tutto sull'associazione con Martina Klein, il cui fascino indiscutibile viene usato come scorciatoia interpretativa. Su un piano personale, trovo la scelta un po’ pigra: è come se la presenza di una testimonial carismatica bastasse a colmare eventuali lacune narrative o di senso. Sì, certo, Klein sorride, si appoggia il viso sulle mani, mostra il polso con fare leggero: gesti che dovrebbero evocare confidenza, autenticità e connessione emozionale—tuttavia, per me, il meccanismo appare costruito quasi come fosse la risposta superficiale a una check-list di “must-have” pubblicitari.

Guardo invece con occhio critico la rappresentazione dell’orologio: sì, l’attenzione è portata sul prodotto, con tanto di close-up dettagliato e palette cromatica raffinata tra rosa, argento e beige. Il visual è indubbiamente curato e, da un punto di vista puramente estetico, Festina riesce a trasmettere un senso di lusso accessibile e precisione svizzera. Tuttavia, a mio modo di vedere, manca del tutto quella trovata in grado di stupire, incuriosire o mettere davvero in discussione la retorica standard della pubblicità di alto profilo.

Da comunicatore esigente, devo rimarcare che il messaggio chiave—“My time”—viene ribadito con coerenza, ma, sinceramente, il concetto di tempo gestito secondo la propria volontà si è sentito decine di volte e qui non trovo quell’inversione di prospettiva in grado di elevare lo storytelling a un livello superiore.

In fin dei conti, ho la netta impressione che Festina giochi sul sicuro, scegliendo una soluzione che rischia di passare inosservata proprio perché poco rischiosa e in alcun modo sorprendente. D’altronde, proprio quella posa studiata “da copertina patinata” mi fa chiedere: nessuno in agenzia si è domandato se questa linearità un po’ scontata possa veramente lasciare il segno?

Mi piacerebbe sentire altre opinioni: secondo voi, questa scelta stilistica e narrativa aggiunge qualcosa di autentico al brand, oppure lo confina in uno spazio prevedibile e già abbondantemente esplorato? Condividete la mia lettura critica, oppure riuscite a cogliere una profondità che a me sembra sfuggire? Discutiamone!